Il caglio, o presame, è un composto a base di enzimi, capaci di determinare la coagulazione delle caseine contenute nel latte.
Come si produce il caglio?
Il caglio può essere sia di origine animale sia di origine vegetale. Nel primo caso, viene ricavato dall’abomaso, ovvero lo stomaco di alcuni animali ruminanti: vitelli, agnelli, ma anche capretti e suini (quest’ultimo si trova solo nel Pecorino di Farindola). Gli esemplari di giovane età, infatti, presentano elevate quantità di chimosina, necessaria per la digestione del latte materno.
Come si riconosce?
Il grosso problema, in Italia, è il fatto che non sia obbligatorio indicare l’origine del caglio tramite dicitura esatta sull’etichetta, come invece lo è in altri paesi d’Europa. Per questo si trovano talvolta le diciture “caglio” o “caglio naturale”, che possono trarre in inganno, e solo raramente la dicitura “caglio animale”. Si rende a questo proposito necessaria, una volta di più, la certificazione Halal, affinché il consumatore possa acquistare un prodotto in serenità, certo del fatto che il caglio non abbia origine suina e che, nel caso del caglio animale, il processo di produzione e la macellazione siano stati eseguiti secondo il rito Halal e provengano da animali certificati.
Dove si trova?
In Italia, il caglio animale si trova in tutti i formaggi DOP, come Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano e Caciocavallo Siciliano, mentre formaggi come mascarpone e ricotta contengono quasi sempre quello vegetale (anche se è bene sincerarsene prima di acquistarli).
Ci sono delle alternative?
Certo che sì! In un mondo globalizzato, dove la popolazione musulmana è in costante aumento, e sempre più persone scelgono di seguire una dieta vegetariana o vegana, le alternative sono sempre più numerose.
Il caglio vegetale è il lattice fuoriuscente dalle parti verdi dell’albero del fico. Esistono anche cagli vegetali estratti da fiori di piante spontanee di montagna ed in particolare dalla Cynara Cardunculus, oppure un caglio ottenuto grazie agli enzimi presenti nella pianta del cardo.
Oltre a questo, sempre più aziende scelgono di utilizzare il caglio microbico, estratto da una muffa e coagulante economico per la sua attività proteolitica (ossia quel processo di degradazione delle proteine da parte dell’organismo) meno specifica.
In entrambi i casi, è chiaro che il processo di produzione debba comunque essere certificato Halal, così da garantire al consumatore che non siano stati utilizzati elementi di origine Haram.
Per adattarsi al cambiamento, molte aziende stanno cambiando gli ingredienti dei propri prodotti per renderli fruibili al maggior numero di persone possibile. Per esempio, in Provincia di Parma, patria del Parmigiano Reggiano, un caseificio ha iniziato a produrre il “Verdiano”, un nuovo formaggio per la cui produzione si utilizza esclusivamente il caglio vegetale. Questo è già un grosso passo in avanti, tuttavia ancora non è abbastanza: è necessario che, oltre al prodotto finale, sia certificato Halal tutto il processo di produzione.
Un ultimo punto di fondamentale importanza è la differenza tra semplice scritta “Halal” sulla confezione e la certificazione con tanto di logo autorevole: solo nel secondo caso, infatti, è possibile risalire alla documentazione che garantisce i controlli sul prodotto, mentre una semplice scritta non ha nessun valore e può essere applicata anche a scopi esclusivamente commerciali.
Fonti: