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Come facciamo a sapere se un prodotto che acquistiamo sia Halal?

Sembra facile rispondere a questa domanda, dal momento che i princìpi dell’Halal sono insegnati chiaramente ai musulmani sin da piccoli, e si possono trovare in modo chiaro all’interno delle fonti canoniche.

Diventa però più difficile avere la certezza in quest’epoca, dove le società e le culture diventano sempre più miste, eliminando via via le garanzie che prima si avevano se ci si trovava in contesto con usi e costumi più omogenei.

Questo cambiamento ha investito anche la produzione Halal: oggi i prodotti sono molto complessi, presentano componenti e metodi di preparazione vari e diversi che non sempre sono facili da verificare, e dunque diventa faticoso accertarsi se qualcosa sia lecito secondo i princìpi dell’Islàm.

 

Un caso molto famoso è quello della gelatina animale, spesso di origine suina, presente in molti alimenti che dunque sono interdetti ai musulmani.

O ancora, l’alcol in tantissimi prodotti alimentari (a volte in concentrazioni sufficienti da farne sentire proprio il sapore, come in alcuni tipi di pane a fette o nelle merendine) e dunque per i musulmani trovare un’alternativa non risulta facile.

 

A questo si aggiunge poi il problema di sapere quali elementi siano stati usati nel processo di produzione, che spesso non sono ingredienti ma sono entrati in contatto con essi.

È il caso del sidro idroalcolico utilizzato nella preparazione di alcune bevande come i tè, oppure semplicemente altri tipi di prodotti Haram (come la carne di maiale) lavorati sulla stessa linea produttiva di prodotti che invece sarebbero Halal, contaminandoli.

 

Di fronte a queste sfide, nel mondo musulmano è nata una realtà che cerca di fornire ai fedeli delle garanzie per poter consumare tranquillamente i loro prodotti preferiti nel rispetto dei precetti cari alla loro tradizione religiosa: le certificazioni Halal.

 

Una premessa a questo argomento è ovviamente il concetto di standard Halal; infatti, esistono nel mondo degli enti, spesso governativi, che si occupano di produrre delle norme tecniche per stabilire delle regole con cui si possa garantire il rispetto dei princìpi Halal.

Funzionando come un organo di normazione e controllo, questi enti si occupano di creare degli standard di qualità, come quelli dell’ISO, per assicurare ai consumatori che i prodotti non vengano dichiarati Halal in modo arbitrario, solo perché c’è scritto sopra “halal” in arabo, ma lo siano nel rispetto di una serie di procedure codificate e verificabili.

 

Sulla base di queste norme, gli enti di certificazione Halal si occupano di mettere le aziende nelle condizioni di avere una produzione coerente ad esse, dunque rispettosa dei princìpi Halal presi dalla Shari’a, garantendo così ai musulmani di poter accedere a un prodotto rispettoso dei loro valori.

 

Nonostante queste iniziative virtuose, la mancanza di organi di controllo in molte aree del mondo, tra cui l’Europa, favorisce l’emergere di enti di certificazione inaffidabili che, vedendo l’opportunità di business, sfruttano l’ignoranza locale dei consumatori e degli attori di mercato su questa materia, per vendere dei servizi di scarso valore o addirittura fittizi, privi di riconoscimento dagli organi di normazione più autorevoli sul piano internazionale.

 

Per questi enti, l’Halal rappresenta un’opportunità per fare soldi facili, sfruttando una bella presentazione e promettendo alle aziende di poter aumentare il loro pacchetto clienti se racconteranno ai musulmani di avere prodotti Halal.

 

Il problema è che questi enti di certificazione non verificano davvero la compatibilità con i princìpi Halal dei prodotti che vanno a certificare, oppure lo fanno in modo superficiale e incompleto, creando così l’illusione del prodotto Halal, ingannando le aziende e i consumatori.

A volte, attratti dalla possibilità di raggiungere una certificazione facile e veloce, senza troppi controlli impegnativi e a costi irrisori, gli imprenditori accettano la tentazione di questi enti, ma nel momento in cui poi vogliono entrare davvero nel mercato Halal (un mercato in fortissima espansione e costante crescita) si trovano impossibilitati a varcare il confine, o senza partner nei Paesi col maggior numero di musulmani, perché la loro certificazione non è riconosciuta.

 

Questo comportamento truffaldino rende instabile tutto questo mercato, indebolisce gli sforzi di garantire al consumatore il rispetto dei princìpi Halal e crea difficoltà a quegli enti virtuosi che vogliono offrire un servizio di qualità ed eticamente corretto, sia per le aziende che per i musulmani.

 

C’è però chi sta lottando perché l’onestà riesca a prevalere: denunce verso questi comportamenti sono state fatte, indagini sono state condotte e anche rese pubbliche per consentire a tutti di conoscere la verità, come nel caso dell’inchiesta del 2020 di HalalLeaks  che espone le prove su comportamenti scorretti in questo settore da parte di attori di mercato.

 

Tuttavia non basta.

La corretta informazione non è sufficiente se chi la riceve non agisce di conseguenza; i musulmani non consumano Halal perché è la loro “marca preferita”, ma perché nell’Islàm fare le cose in modo Halal significa impegnarsi a farle nel modo migliore: per questo non è sufficiente apparire Halal, è necessario esserlo nella sostanza.

 

Tutelare l’utilizzo del criterio, del marchio Halal, è indispensabile se si vuole essere certi che continui a rappresentare quei valori etici e spirituali importanti per i musulmani; per questo chi consuma Halal deve preoccuparsi di verificare sempre le qualifiche dei prodotti che acquista (ingredienti in generale, certificazioni soprattutto sui prodotti critici) e prediligere quelli più affidabili.

Le aziende che si certificano devono essere messe al corrente di come funziona il mercato Halal in termini tecnici, commerciali e soprattutto religiosi; per poter offrire un servizio di qualità in questo campo, è necessario conoscere il concetto di Halal anche in termini etici e normativi, così da tutelare i propri affari dagli enti ambigui.

 

Per salvare l’Halal dalla corruzione dobbiamo contribuire tutti.

Chi ha a cuore questo criteri deve prendersi cura di come viene trattato, solo così potrà essere certo che continui a rappresentare qualcosa di buono.