Sono ormai cinquant’anni che la presenza dell’Islam in Italia non è più caratterizzata prevalentemente da notizie di cronaca e testimonianze sui libri di storia, ma da comunità di persone sempre più grandi e sempre più evidenti sul panorama nazionale.

 

Proprio perché in Italia, come dice l’islamista Stefano Allievi, l’Islam è una religione “trapiantata”, poiché non autoctona ma importata dai migranti provenienti dalle sponde asiatiche e africane del Mediterraneo, spesso l’italiano medio tende a percepire i musulmani come un’etnia, il più delle volte inconsapevolmente, trascurando la differenza sostanziale che c’è tra cultura e religione.

 

Di conseguenza, la percezione dell’Islam viene fortemente influenzata dalle visioni xenofobe, che vedono nel musulmano automaticamente uno straniero: ma è veramente così?

 

Se guardiamo ai dati, prima ancora di inquadrarne la provenienza ci scontriamo di fronte a un altro problema sul numero di musulmani in Italia: come si ottiene?

La difficoltà sta di fatto nell’assenza di un censimento basato sull’orientamento religioso, anziché sulla nazionalità d’origine.

 

La soluzione adottata in genere è molto grossolana, perché si va a costruire una stima ricavata applicando ad ogni gruppo nazionale di immigrati stranieri (residenti, e già questo cambia la dimensione della popolazione da cui si estrapola la stima) la percentuale delle singole religioni presenti nel loro paese di provenienza; questo significa, ad esempio, che se in Nigeria la percentuale di musulmani è del 48%, si considera che la quantità di musulmani nella minoranza nigeriana in Italia sia del 48%.

Già solo considerando questo meccanismo, possiamo notare come i risultati ottenuti non siano per niente affidabili, specialmente perché questo ragionamento (oltre ad essere sbrigativo e lacunoso) non tiene nemmeno conto di come si stabilisce se una persona sia musulmana o meno, in base a quale criterio.

 

Per risolvere questo problema, gli studi statistici usano il concetto di musulmano sociologico, che considera di fede islamica chiunque provenga da un contesto sociale, istituzionale e/o famigliare in cui l’Islam è considerato il centro dell’identità personale.

 

Sulla base di questo, dunque, le ricerche Istat/Ismu datate al 2017 riportano che la comunità musulmana in Italia ammonta a 2.520.000 unità (circa il 4,2% della popolazione complessiva italiana), di cui 1,4 milioni non cittadini, e poco più di 1,1 milioni di cittadini (a cui si potrebbe aggiungere una quantità approssimativa di 150.000 irregolari che sfuggono ai censimenti standard).

 

Stando solo a questa esposizione dei numeri, parrebbe confermata la visione “straniera” dell’identità islamica, con una maggioranza visibile di musulmani senza cittadinanza benché residenti; ciononostante, le cose cambiano quando si osserva la distribuzione di queste persone per paese d’origine:

 

Fonte: Istat/Ismu al 01/01/2017, dati riportati da Fabrizio Ciocca in Musulmano italiano. Un’indagine tra religione, identità e islamofobia, Meltemi, Fano 2019.

 

Il grafico mostra che, in proporzione, i musulmani di cittadinanza italiana sono in netta superiorità rispetto a tutte le altre comunità, inclusa quella marocchina che è storicamente la minoranza più numerosa in Italia, ed è interessante notare che sempre secondo questi stessi dati solo un terzo di loro (circa 350.000) sia naturalizzato, cioè migrante che ha ottenuto la cittadinanza.

 

Il grosso dei musulmani residenti in Italia, dunque, è effettivamente italiano, di cittadinanza, di cultura, molto spesso anche di origine se si vogliono escludere le seconde o le terze generazioni (che sono comunque culturalmente italiane perché cresciute in questo contesto).

Questo significa che, in Italia, considerare i musulmani automaticamente come stranieri è matematicamente sbagliato.

 

Le conseguenze di queste analisi non sono solo di interesse statistico, ma anche culturale, politico e sociale, poiché gli italiani musulmani sono una maggioranza silenziosa che non è percepita né dalle istituzioni locali, che quindi approcciano i problemi della comunità islamica come quelli di minoranze straniere residenti, né dagli organi di rappresentanza della comunità islamica stessa, che continuano a identificarsi come un gruppo etnico minoritario, e quindi a portare avanti le loro istanze con una mentalità da migrante, estraneo, lasciando permanere le difficoltà più forti all’integrazione.

 

Trattare i musulmani come una comunità religiosa e non come una minoranza etnica aiuterebbe a risolvere molti problemi di mentalità, di comunicazione, di paura del diverso che portano alla chiusura degli italiani verso i migranti, e i migranti a chiudersi nelle loro reti etniche per difesa.

 

In questo, gli italiani musulmani giocano un ruolo chiave, perché sono la dimostrazione concreta di quanto le parti in gioco si sbaglino: l’Islam non è antitetico a nessuna cultura, quindi nemmeno a quella italiana, poiché si inserisce in esse per contribuire all’accrescimento e all’elevazione etica di ogni popolazione.

Ogni nazione che oggi si definisce convenzionalmente come musulmana, o a maggioranza musulmana, ha una mentalità propria, tradizioni, usi e costumi tipici della propria cultura; questo significa che l’Islam non cancella le peculiarità dei retaggi culturali, ma si integra in essi per apportare benefici e miglioramenti.

Oggi, gli italiani musulmani sono un segno di speranza crescente che le incomprensioni del presente siano superate nel futuro, per una convivenza armoniosa e pacifica che trova la sua comunanza nell’italianità, e la sua ricchezza nella pluralità di pensiero.